DONNA ROSA, è una raccolta di testimonianze vere di violenza subita. Donne che si raccontano, donne che attraverso la chat di n profilo facebook, nato e creato da me, come sportello rosa. Donne alle quali è stata strappata l'anima, spezzato il cuore, spento la fiducia nell'uomo.
Il libro vede la collaborazione della grande Tatyana Mamonova, prima scrittrice dissidente russa, esiliata per aver osato scrivere delle condizioni delle operaie in Russia.
Donna Rosa, ha visto la prima uscita nel 2014. Disegno di copertina realizzato da Roberta Marino.
Di seguito due delle tante storie vere che sono racchiuse nel libro.
Anna ha 75 anni e, per la prima
volta, trova il coraggio e la forza di raccontarsi. Una storia, un dolore
tenuto stretto nel cuore, un dolore che era ormai diventato vestito invisibile
da indossare ogni mattina e dimenticarlo nel sonno.
Anna, ora in pensione, da ragazza
lavorava nella sartoria della zia, sorellastra del padre. Ogni mattina alle
sette usciva di casa, ma non era lunga la strada da fare, appena 50 metri più
avanti abitava la zia e la sartoria era affianco. Un locale ben tenuto, tendine
ricamate che adornavano le piccole finestre, la stufetta a legna che sempre
aveva sui fornelli un tegamino pronto per un the o una cioccolata.
La zia non aveva avuti figli e
Anna era per lei la figlia sempre desiderata.
Lo zio era un uomo silenzioso e
sempre attento a leggere i giornali e lamentarsi della politica e della vita.
Anna da bambina presto diventò
una donna, una donna bella e molto curata grazie ai magnifici vestiti che la
zia le cuciva nelle ore libere.
Che divenne una bella donna se ne
accorse anche lo zio, quello zio buono e silenzioso, quello zio che sempre è
stato premuroso.
ANNA: “Un giorno la zia salì in
casa per delle faccende domestiche che aveva lasciato incomplete.
Ero attenta a stirare un abito
appena completato, ricordo, era color avorio con dei piccoli fiorellini di
campo, lo zio si avvicinò chiedendomi di smettere di stirare”
ZIO: “ Anna basta stirare,
riposati, vieni a sederti vicino a me”.
ANNA:Non pensai minimamente a
male, ma risposi che dovevo finire di stirare il vestito perché la signora
Lella sarebbe passata a breve a ritirarlo. Lui si sedette e, quando mi voltai,
lo vidi tutto sudato e agitato, aveva la mano in tasca e l’agitava in modo
inequivocabile. Il cuore mi si fermò in petto, velocemente completai di stirare
il vestito e lo portai di corsa di sopra. La zia, appena mi vide, capì che non
stavo bene. Mi chiese se avessi le mie cose. Risposi di sì, pur non essendo
vero, dovevo giustificare
quel mio pallore e quel forte
battito di cuore che riuscivo a sentirlo fuori dal petto. La sera, nel letto,
non riuscii a dormire, avevo paura, come potevo ritornare l’indomani mattina in
sartoria?
E’ strano come, pur sapendo di
essere innocenti, ci si sente in colpa. Sì, iniziai a pensare che forse era
colpa del mio vestito o del rossetto rosso.
L’indomani indossai, così, i
pantaloni e, sopra, una lunga maglia. Non misi rossetto e i miei lunghi e
bellissimi capelli rossi li legai.
Arrivata in sartoria, la zia era
già a lavoro, stava sistemando dei bottoni e mi dissi di fare la piega al
pantalone di un cliente. Mi guardai intorno, lo zio non c’era ma sapevo che
presto sarebbe arrivato, come faceva di solito, dopo aver comperato il
giornale.
La zia mi chiese se mi sentissi
meglio e mi versò nella tazza del the caldo.
Mentre lo zuccheravo la zia disse
che sarebbe uscita per comperare della verdura. L’idea di rimanere da sola mi
terrorizzò. Così dissi che sarei andata io al mercato. Ma lei rispose che
l’aria era fredda e, visto che non ero stata bene, era meglio che stessi al
caldo. Insistetti molto, ma non ci fu nulla da fare, la zia uscì ed io rimasi
da sola, da sola con la speranza che rientrasse prima che arrivasse lo zio.
Non fu così, lo zio arrivò e mi
salutò dandomi un pizzico sul viso. Sentire quella mano sul mio viso mi fece
avere un brivido di paura e disgusto, lui se ne accorse e con voce bassa,
attento alla porta
che non entrasse la zia , mi
disse : “ Tremi? Non devi avere paura, io ti voglio bene, tu lo sai che io ti
voglio bene, vero?”
Non avevo voce, la gola era come
se si fosse ristretta, sentivo che non sarei riuscita nemmeno ad urlare per
chiedere aiuto. Ad un tratto si avvicinò a me talmente tanto che potevo sentire
il suo sangue pulsare delle sue mani, nel suo cervello. Cercai di allontanarmi,
ma mi afferrò dai fianchi e si strofinò al mio petto, cercai di staccarlo ma la
sua forza era tipo quella di un animale, una bestia feroce. Mi trascinò nel
camerino, con forza.
La sua mano stretta sulla mia
bocca non mi faceva respirare, fece di me un suo oggetto, rimasi sdraiata su
quel lettino che odorava di dolore e di lacrime.
La sera, rientrata a casa, pensai
al suicidio. Volevo morire, era l’unico modo per non pensare, per non ricordare
quel momento doloroso che mi aveva distrutta dentro, io ero vergine.
Mi lavai tanto e con molto sapone,
volevo togliere dal mio corpo l’odore delle sue mani e il suo viso sudato
continuava ad apparirmi anche nello specchio.
Finalmente, verso l’alba, mi
addormentai. Ma venni svegliata da un urlo, era la zia. Il cuore mi saltò in
gola, pensai che avesse scoperto tutto e che sicuramente avrebbe dato la colpa
a me. La porta della mia stanza si aprì di colpo, era mia madre. Sentìi il
sudore freddo scivolarmi lungo la schiena, mi sentii persa, colpevole, sporca.
Guardai mia madre che, con gli
occhi pieni di lacrime, mi disse che lo zio aveva avuto un collasso e che forse
era morto. Vedevo
mia madre piangere, sentivo mia
zia di sotto che urlava, ma io, io avevo uno strano sentimento che mi aveva
invaso il cuore. Ero felice, felice che fosse morto, felice che non lo avrei
visto più, felice che era stato punito. Guardai l’immagine della Vergine Maria
sul mio letto, la ringraziai con lo sguardo.
Saltai dal letto e mi vestii
velocemente, scesi di sotto e poi corsi con mia madre a casa della zia. Lo zio
non era morto, era in camera e due medici lo stavano visitando. Guardai la zia,
piangeva e diceva, continuamente, che era l’uomo più buono che avesse mai
conosciuto e mia madre a darle conferma della sua bontà.
E’ strano come una donna pur
vivendo una vita con un uomo, possa in realtà non conoscerlo.
Tutti pregavano che guarisse,
intorno al tavolo la zia, mia madre e le vicine di casa accorse dicevano il
rosario. Io ero seduta vicina alla zia, lei pregava affinché guarisse mentre io
nel mio cuore speravo che morisse.
Morì qualche ora più tardi, morì
lasciando a tutti un buon ricordo ed a me la tristezza di un dolore che mai mi
avrebbe abbandonata. Denunciare è importante, ma allora erano altri tempi, oggi
dico sempre di denunciare.”
Laura, incinta di 3 mesi, viene picchiata a sangue dal
marito.
LAURA: Non vorrei raccontarti questa mia storia, Donna Rosa,
perché ogni volta che ci penso è per me rivivere quel doloroso momento. Mi
rendo conto però che è importante per le altre donne conoscere e sapere ciò che
accade nel mondo e ciò che spesso accade in quelle famiglie in cui si pensa sia
tutto profumo di rose. In quelle famiglie dove la donna esce con gioielli
vistosi e il cuore pieno di ferite. In quelle famiglie dove l’apparire è tutto,
ma l’amore non esiste, esiste solo ciò che potrebbe dire o pensare la gente.
Sono sempre stata considerata fortunata, le mie amiche mi
invidiavano, pellicce, gioielli, feste, non mi mancava nulla.
Ma era solo un apparire, quell’uomo che in pubblico mi
baciava le mani, quell’uomo che al ristorante con amici mi versava
delicatamente e con attenzione il vino, quell’uomo a casa, tra le nostre 4 mura era un uomo
violento e possessivo.
Ero incinta di tre mesi, rientrai a casa in ritardo, avevo
fatto spese per il bambino che doveva nascere, il nostro bambino.
Quando si è in attesa, entrare in un negozio per neonati è
perdersi nei sogni, questo successe a me quel pomeriggio e per questo tardai a
rientrare.
Lo trovai nervoso che rovistava in frigo, appena mi vide
richiuse il frigo con violenza e la bottiglia che aveva in mano la buttò
letteralmente sul tavolo
“ Ma dove cazzo sei
stata? Torno e trovo che non ci sei, niente cena, ma che cazzo di moglie sei”
Spiegai del mio ritardo mentre mi affrettai a preparare la
cena, era spesso nervoso, diceva per i problemi sul lavoro, ma quella sera era
ancora più nervoso, aveva gli occhi come impazziti. Per non farlo innervosire
ulteriormente iniziai a parlare dei vestitini che avevo visto per il nostro
bambino, sperando si addolcisse, m non fu così.
Intanto che la pasta cuoceva, apparecchiai il tavolo, e
sottovoce cantavo per mettere serenità in casa.
Intanto suona il telefono era il suo capo ufficio, non so
cosa disse, solo successivamente seppi che fu licenziato, lo seppi
successivamente perché quando chiuse il telefono e si mise a tavola, appena
servii il piatto, lo afferra e lo tira conto il muro mentre velocemente si
volta verso di me e mi da una serie di pugni e schiaffi. Persi il bambino,
stetti in ospedale per molti giorni. Venne a trovarmi più volte ma non volli
vederlo, chiesi il divorzio. La mia vita oggi? Vivo con un nuovo compagno, un
uomo buono e dolcissimo, ma siamo soli perché io non posso più avere figli.
Quando un uomo è violento, non bisogna aspettare, non
cambierà mai, unica via di salvezza è lasciarlo. Donna Rosa, io ti ringrazio
per avermi ascoltata, ti ringrazio per ciò che fai , ti ringrazio per essere
una donna che dedica il suo tempo a donne come me. Un forte abbraccio, mia
carissima amica virtuale, spero di poterti un giorno conoscere personalmente
per poterti abbracciare.
Non posso negare di aver pianto più di una volta, leggere
queste testimonianze, leggere quelle che non riporterò sul libro, leggere ciò
che molte donne hanno nel cuore, mi ha profondamente colpita.
Penso alla cara Laura, penso al suo dolore ogni volta che
lungo il corso vede vetrine colorate con abiti per neonati, penso a lei ogni
volta che ne vedo io.
Donna Rosa non vuole essere un libro pieno di numeri, di
date, di percentuali, di statistiche, di discorsi fatti da studiosi. Donna Rosa
vuole solo essere un libro semplice, un libro raccontato da una donna che con il cuore in mano racconta di donne.
Non bisogna aver paura di denunciare.
Per una
donna che ha subito violenza, anche dopo
avere denunciato e visto punire dalla legge la persona che le ha fatto del male, avrà sempre
nel cuore quell’angolo buio e pieno di dolore.
Avrà sempre quella ferita nell’anima,
ferita che l’accompagnerà per tutta la vita ed è per questo che la legge deve
punire in modo severo chi ha fatto tanto male.
La donna,pur ritornando alla propria
vita, al proprio lavoro, alla propria famiglia,
avrà sempre quel nodo in gola che
vorrebbe sciogliere, un nodo che ha bisogno di slegarsi attraverso uno sfogo,
attraverso il raccontarsi.
Raccontarsi procura sollievo all’anima.
C’è chi ha la fortuna di avere una
famiglia vicina, una sorella, una madre, un amica.
Quando si è soli, però, specialmente in una
grande città o quando la ferita è stata proprio la famiglia a provocarla,
allora si ha l’impressione di essere soli al mondo.
C.M.T. che è stata la prima donna a
cercarmi in “Donna Rosa”, la prima cosa che mi scrisse:
“ Ho bisogno di parlarne
anche se in famiglia se ne è tanto parlato. Ho ancora bisogno di sfogarmi e di
tirare fuori da me quel sapore amaro che mi è rimasto dentro ,ma non posso
parlarne in famiglia, dicono che non devo più pensarci e devo andare avanti,
sì, vero, ma è dentro di me una fiamma che brucia e devo liberarmene e dare
sollievo al mio cuore, parlandone con chi ha desiderio e pazienza di
ascoltarmi, senza giudicarmi”.
E' quasi pronto la mia seconda opera dedicata a questo tema, racconterà di violenze subite ma anche di violenze che nel mondo, in paese con usanze, tradizioni e culture diverse, le donne, le bambine, subiscono offese indicibili nel corpo e nell'anima.
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